Giuseppe Verdi e Richard Wagner condividono tra di loro ben più dell’anno di nascita, il 1813: oltre a essere unanimamente considerati tra i più grandi operisti della storia della musica, hanno contribuito a formare la coscienza nazionale dei rispettivi popoli.
Nel grande alveo della musica romantica, ognuno dei due ha scelto una propria concezione estetica, un proprio modo di esprimere i sentimenti e le emozioni, proprie storie e personaggi, divenendo primieri attori della metamorfosi artistica in Europa: l’uno fissando in musica storie eterne, fiabesche ed epiche, in cui agiscono personaggi granitici e idealisti; l’altro portando sulle scene uomini e donne reali, con le loro vite, le loro emozioni e le loro passioni.
Anche nella forma si muovono parallelamente: Verdi, tranne che nelle sue ultime opere, porta ad evolversi il modello dell’opera italiana, composta da un susseguirsi di pezzi chiusi: arie, recitativi, concertati, fino a far assumere a tali pezzi dimensioni importanti e strutture notevolmente articolate.
Wagner, invece, elabora una sua rivoluzione della forma che porta l’opera a essere Wort-ton-drama: parola-suono-azione, opera d’arte totale. Per farlo abolisce le forme chiuse, introduce idee musicali ricorrenti (i Leitmotiven) che rappresentano persone, emozioni, pensieri e costruisce i suoi Drammi musicali sul canto ininterrotto.
Questi due colossi non si incontrarono mai, anzi, si ignorarono ostentatamente per tutta la vita. Solo qualche episodio ci rimane: Wagner che a Venezia con la moglie Cosima si mette a parodiare le arie di Verdi mentre rema in gondola; oppure Verdi che va a sentire Lohengrin e commenta: “Suonato malissimo. Troppo lungo. Noioso.”
Pare assodato che però il bussetano, probabilmente per influenza di Arrigo Boito, wagneriano convinto, sia giunto nella parte finale della sua vita ad un certo interesse nei confronti di Wagner, tanto da consigliare al suo editore, Ricordi, di pubblicarne le opere. Le ultime due opere di Verdi, Otello e Falstaff, rivelano una concezione dell’opera ormai mutata, e questa concezione deve molto, magari per mezzo di intermediari, come Boito, alla rivoluzione wagneriana; a questo proposito Igor Stravinskij, nel secolo successivo, scrisse provocatoriamente “la mia opera preferita di Wagner è Fastaff”.
Nonostante abbiano dunque viaggiato su binari paralleli, dunque, Verdi e Wagner hanno avuto un destino in parte comune: sono stati attori importanti nei rivolgimenti che hanno interessato i loro paesi. Abbiamo dunque Verdi, nel 1848, che parla entusiasticamente dei moti per l’indipendenza del Lombardo-Veneto, rammaricandosi per non aver fatto in tempo a partecipare alle Cinque Giornate. Scrive a Francesco Maria Piave, poeta suo amico e librettista: “Tu credi che io voglia ora occuparmi di note, di suoni?… Non c’è né ci deve essere che una musica grata alle orecchie delli Italiani del 1848: la musica del cannone!”
Con l’unità d’Italia viene eletto deputato, rimanendo vicino alle posizioni di Cavour e della Destra Storica. Dopo la fine del mandato, continuerà comunque a sferzare con lettere e opinioni gli esponenti dei governi, interessandosi specialmente alla condizione dei contadini.
Richard Wagner non è meno focoso nelle sue passioni politiche: nel1849 aDresda combatte sulle barricate a fianco di Bakunin e infiamma gli animi degli insorti con i suoi discorsi. Deve promettere però al suo amico e protettore (e futuro suocero) Franz Liszt, che l’aveva aiutato a fuggire dopo i moti, di non occuparsi più direttamente di politica, e così farà. Quando, anni dopo si troverà al servizio di Ludwig II di Baviera, non rinuncerà alle sue visioni politiche, ma le adatterà secondo le circostanze, teorizzando la figura del “principe ideale protettore delle arti” (ossia Ludwig). La sua evoluzione politica segue quella filosofica e artistica; difatti riempirà, anche se in una estrema idealizzazione, le sue opere musicali di pensiero politico.
Ente Musicale Società Aquilana dei Concerti "BONAVENTURA BARATTELLI"
Tel.: +39 0862 24262