Dio, che “tanti/speculi fatti s’ha in che si spezza,/uno manendo in sé come davanti”, nell’ atto della creazione, ossia nell’ istante in cui l’ Uno ama riprodursi nel molteplice, è simile a uno specchio frantumato in mille pezzi, del quale tuttavia ogni frammento riproduca non già la millesima parte di ciò che lo specchio intero riproduceva, bensì sempre la totalità. (Dante, Paradiso XXIX).
I tre Trii sono musica altissima, nella quale il sublime ci viene incontro con energia persino destabilizzante, sempre travolgente, talvolta tanto invasiva da imprigionarci immobilizzarci, come se fossimo improvvisamente posseduti da spiriti non si sa bene se scesi da sfere celesti o emersi da abissi insondabili. Nulla è mai banale o scontato o casuale o marginale nel lascito artistico di Schumann: non sono rari i Lieder o le pagine pianistiche che, dopo averci sollevati alle vette montane e immersi in un’atmosfera finalmente pura e benefica, compiono un ulteriore balzo oltre i limiti dello spazio cosmico, verso l’infinito. Ma i tre Trii hanno questo carattere specifico: ciascuno di essi è un mondo cui nulla manca per essere esso un cosmo, e ogni suo frammento, ogni semifrase melodico-ritmico-armonica, ogni vibrazione timbrica, è come il mitico Aleph di un racconto di Borges: è il punto introvabile, l’Alfa l’Omega dal quale l’intero universo improvvisamente si rivela alla nostra vista. Non è difficile accorgersene. Il Trio n. 2 op. 80 è celebre come scrigno magico di autostazioni. La timbrica combinata dei tre strumenti diviene una bacchetta magica che trasforma e amalgama i segmenti di altre musiche schumanniane: il Lied Intermezzo op. 39 n. 5 su testo di Joseph von Eichendorff, Papillons op. 2, Davidsbündlertänze op. 6. Così, ascoltando il travolgente I tempo dell’op. 80, ripercorriamo poeticamente l’intera musica pianistica e liederistica di Schumann, rileggiamo Eichendorff e riascoltiamo gli echi di altri poeti romantici (Rückert, Heine…), e ci immergiamo nella sfera della grande poesia in lingua tedesca, avvertendone l’aura civile europea, quella sublimata da Denis de Rougemont in L’amour et l’Occident. Ma, insieme, vediamo con chiarezza il legame tra quel Trio centrale e gli altri due che lo fiancheggiano, e ci accorgiamo che la terna dei Trii, in cui i tre strumenti si triplicano in tre distinte ma consanguinee composizioni, è una architettura perfetta e nello stesso tempo una foresta evocata da romantiche ballate. In questi tre capolavori cameristici si nasconde una pedagogia che agisce attraverso l’incantamento, e che lungo un percorso di emozioni e di riconoscimenti di noi stessi e di ciò che siamo ci guida verso l’alta nobiltà di un Eros inteso come l’innamorarsi della bellezza, unica possibile porta che ci offra l’accesso alla verità. Conoscerli, ascoltarli, decifrarli, è un dono offerto a ciascuno di noi. E’ anche un forte ed entusiasmante impegno di ciascuno di noi verso la civiltà che ci fa essere.
Quirino Principe
Ente Musicale Società Aquilana dei Concerti "BONAVENTURA BARATTELLI"
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