Le Roman de Fauvel (1310-1314, 1316)
testo originale di Gervais du Bus e Chaillou de Pestain
adattamento del testo originale di Anna Cepollaro
da un’idea di Guido Barbieri
Mottetti, ballate, rondeaux.
Musica strumentale e vocale di Philippe de Vitry
e di altri autori del XIV secolo.
Una nuova alleanza tra musica, politica e matematica
di Guido Barbieri
Musica, politica e matematica. È uno strano, inedito trivium quello che fa da cornice al Roman de Fauvel, fiore aurorale dell’ars nova francese. Il primo e il terzo vertice del “triangolo”, si sa, intrattengono relazioni antiche (anche se mediate attraverso le discipline sorelle dell’astronomia e dell’astrologia), ma il vertice centrale non era ancora entrato a far parte, all’alba del Trecento, della geometria del sapere. Eppure è proprio la ratio di una consapevole “coscienza di classe” ad armare i versi, i suoni, persino le icone del novissimo roman de geste di Gervais du Bus. Ecco come sono andati, grosso modo, i fatti.
Dal 1285 il regno di Francia è nelle mani di Filippo IV, detto il Bello. Il figlio primogenito di Isabella d’Aragona ha fame di denaro. Ha in mente, infatti, una nuova idea di stato, basata non più sul potere illimitato del monarca, bensì su una struttura burocratica centrale alimentata dalla leva fiscale. Il re vara dunque, all’inizio del nuovo secolo, una sorta di imposta (relativamente) progressiva sul reddito. Le conseguenze per il ceto medio francese sono devastanti: i grandi e medi proprietari terrieri, la piccola nobiltà locale, i ceti professionali, gli ebrei, persino l’Ordine dei Templari, tutti i detentori di reddito e di proprietà vengono sottoposti ad un brutale, coattivo prelievo fiscale. Che spesso si traduce in vere e proprie espropriazioni a mano armata. Regista onnipotente di questa “strategia del terrore” è il ciambellano del re, Enguerrand de Marigny, ministro del tesoro, delle finanze e della guerra. Il malcontento è alle stelle. Contro il “vampiro” si salda un ampio fronte di opposizione che va dalla piccola nobiltà parigina fino alla fronda di corte sostenuta dal nemico più aspro di Filippo: il fratello Carlo di Valois. La rivolta, una volta tanto, paga: Marigny, dopo la morte di Filippo, il suo fedele e unico protettore, viene impiccato sulla pubblica piazza a Montfaucon il 30 aprile 1315.
A mettergli metaforicamente il cappio al collo è stato anche, tra gli altri, Gervais du Bus, alto funzionario della corte reale, poeta colto e inquieto, cappellano dello stesso Marigny. È contro il suo padrone, contro il Trono, contro la Chiesa, contro la corruzione che si annida in ogni piega del potere che Gervais lancia gli strali feroci e violenti della sua vis satirica.
Quelli che lo portano a creare, inconsapevolmente, il primo grande romanzo parodistico della letteratura occidentale. È fin troppo evidente infatti che al testone asinino di Fauvel si sovrappongono, come se fossero la stessa, identica immagine, il capino gentile del re e quello del suo sanguinario ciambellano. A questo disegno esplicitamente politico aderisce tra gli altri, condividendone la strategia, anche Philippe de Vitry, teorico, poeta, compositore, vescovo di Meaux, interprete ed artefice di quell’inesorabile processo di liberazione del sapere dalle catene della fede che passa sotto il nome di ars nova.
Nel Roman di du Bus, Vitry scioglie tutta la sua raffinatissima tecnica mottettistica, ma offre anche, alla subtilitas del lettore curioso, una preziosa chiave di lettura sub specie matematica.
Il mottetto più celebre dell’intera silloge, Garrit Gallus, è composto infatti, come imponeva l’uso del tempo, secondo la cosiddetta tecnica dell’isoritmia. Il tenor, ossia la voce più grave, il fondamento dell’edificio architettonico, veniva costruito attraverso un rigoroso procedimento matematico. Il color, vale a dire il ductus melodico, era infatti costituito dalla ripetizione di uno schema ritmico fisso (la tàlea) che garantiva al tenor una scansione rigorosa e iterativa dei valori temporali. Fin qui niente di anomalo rispetto alla prassi dell’epoca. In Garrit Gallus, a sua volta parodia tagliente dei vizi nazionali, il meccanismo è però ancora più sofisticato. Se si mettono in sequenza i valori ritmici del color si scopre infatti che il tenor è costruito come un palindromo: sia che la si legga dall’inizio alla fine oppure dalla fine all’inizio la sequenza dei valori metrici è rigorosamente identica. O per meglio dire: è quasi identica. Intorno al valore cardine centrale, infatti, Vitry inserisce una piccola anomalia, due valori leggermente differenti che rompono la perfetta simmetria del disegno matematico. Come interpretare questa impercettibile, nascosta, eppure evidente irregolarità? La si può leggere senza fatica in chiave allegorica: rappresenta, infatti, un semplice cuneo, un bastone affilato, una piccola bietta infilati a forza nella inesorabile ruota della Fortuna, la protagonista autentica, accanto all’Asino, del Roman de Fauvel. È, insomma, il perturbante che interrompe il corso fluido del destino, è la mano dell’uomo che si insinua nel fuso di Ananke. Un cuneo non proprio simbolico, per la verità, se è vero che appena un anno dopo l’apparizione del Roman, quella impercettibile asimmetria fa cadere sul collo candido di Marigny la lama, niente affatto metaforica, di una pesantissima mannaia. Ecco fin dove può giungere la “nuova alleanza” tra musica, politica e matematica.
Il mondo alla rovescia
di Anna Cepollaro
La satira politica non invecchia mai, come dimostra Le Roman de Fauvel, uno dei testi più singolari della letteratura allegorica medievale, un’attualissima opera antica che sembra parlare dell’oggi. Lo spettacolo, nato da un’idea di Guido Barbieri, si basa sul poema allegorico in due libri, Le Roman de Fauvel appunto, attribuito a Gervais du Bus, cappellano di Enguerrand de Marigny, ministro del re Filippo IV il Bello, e composto tra il 1310 e il 1314. Nel 1316 un altro gentiluomo di corte, Raoul Chaillou de Pestain, aggiunge al Roman numerose interpolazioni sia letterarie che musicali.
Le Roman de Fauvel, in cui la musica è strettamente e necessariamente legata al testo, va in scena dunque nel suo 700° anniversario.
La parte musicale è attinta da vari generi e forme, monodiche e polifoniche, esistenti all’epoca: dal canto gregoriano a canti profani, da pezzi di grande complessità polifonica, che si prestano ad essere cantati in lingue diverse, perlopiù francese e latino, a conductus e mottetti, alcuni dei quali oggi attribuiti a Philippe de Vitry, il teorizzatore dell’ars nova.
L’incontro tra la musica dotta e quella folclorica, oltre al ricorso a maschere irridenti, fa del Roman de Fauvel uno dei più famosi testi medievali, anche perché in esso si trova la più antica attestazione letteraria del rito dello charivari, una messinscena rituale della tradizione orale, nella quale, con semplici travestimenti e musiche non elaborate, si rappresentavano le nozze “popolari”, basate su ragioni legate alla fecondità. In alcuni brani intonati viene narrata una delle situazioni più rappresentative dei conflitti e delle convergenze tra potere politico e potere religioso: le azioni giudiziarie contro i Templari che portano alla soppressione dell’ordine nel 1312.
Il racconto, il cui titolo rimanda a epoche abitate da dame e cavalieri, è una sorta di denuncia in versi della corruzione e degli abusi nella corte e nell’intero sistema politico francese: pericolosa è la politica, non la satira…
I versi descrivono con minuzia di particolari le sembianze dell’asino Fauvel, il suo nome, il colore del suo manto, la maniera e la disposizione necessari per lustrarlo e strigliarlo. E poi la triste posizione della chiesa dell’epoca, con nomi e personaggi elencati in un appassionante gioco di aggettivi e nomignoli.
L’ambientazione ci porta in una sorta di mondo alla rovescia, in cui gli animali comandano e gli uomini sono ridotti in schiavitù. In antitesi tra loro sono due diversi modelli del mondo: uno aperto al bene e l’altro chiuso intorno al male.
Il protagonista è Fauvel, un personaggio fantastico tra uomo e asino, il cui nome è formato dall’acrostico di sei vizi capitali: Flaterie (adulazione), Avarice (avarizia), Uilenie (scortesia), Varieté (incostanza), Envie (invidia), Lascheté (viltà). Fauvel sillabato significa anche menzogna velata, ed è con l’inganno che l’asino conquista il potere, regnando sugli uomini che punisce se sono innocenti e salva se sono colpevoli. La sua potenza è tale che tutti si prostrano ad adularlo, perfino cavalieri, papi e imperatori. Ma a lui non basta e allora chiede in sposa Fortuna per poter, tramite lei, decidere a suo piacimento il verso in cui far girare la sua Ruota. Ma Fortuna rifiuta l’offerta e l’asino deve accontentarsi di sposare Vanagloria: sua moglie non potrà governare i venti della buona sorte, ma almeno lo aiuterà a impedire che gli arroganti all’apice della fortuna si accorgano del baratro che li attende. Egli stesso teme di non salvarsi dal destino dei vanagloriosi, dopo che Fortuna gli ha predetto la caduta dal trono e il trionfo delle Virtù.
Un grande torneo tra i Vizi e le Virtù conclude l’opera.
“Le Roman de Fauvel”: un’opera multimediale
di Claudia Caffagni
Nel 2014 ricorre il settimo centenario della compilazione del secondo Libro del Roman de Fauvel, iniziato nel 1310 (1226 versi), poi completato nel 1314 (2054 versi) da Gervais de Bus, alto funzionario alla cancelleria della corte francese, il cui nome si nasconde sotto forma di anagramma alla fine del secondo libro. Si tratta di una pungente e amara satira allegorica contro la corruzione e gli abusi del potere. Tutti i volti noti della corte parigina e della scena religiosa vengono “interpretati” da animali allegorici, tra i quali spicca il personaggio principale: Fauvel, uno stallone dal manto rossiccio, bestiale incarnazione dei vizi, simbolo di tutta la società francese e del suo sistema politico al tempo di Filippo IV il Bello… la storia si ripete!
La vicenda di Fauvel si intreccia alla figura di Fortuna. Al colmo di un enorme potere che la sorte gli ha concesso – che vede papi e imperatori, monaci e frati, contadini e mercanti adularlo e assecondarlo – Fauvel, fingendo un ardente amore, decide di chiedere la mano di Fortuna con lo scopo di fermare l’inesorabile movimento della sua ruota, che prima o poi, se non soggiogata da un contratto di matrimonio, girerebbe a suo sfavore. Lo sdegnoso rifiuto di Fortuna di fronte all’ipocrita dichiarazione di amore di Fauvel, induce quest’ultimo ad accontentarsi di sposare Vanagloria, colei che ammalia e distoglie dalla consapevolezza della imminente disgrazia. Fortuna annuncia, infatti, che presto Fauvel cadrà dal trono e allora, se Dio lo vorrà, ci sarà spazio per il trionfo delle Virtù.
Dal punto di vista dei testimoni che tramandano il testo, ci sono pervenuti dodici manoscritti; tra questi uno in particolare emerge per lo straordinario apparato iconografico e musicale (Parigi – Bibliothèque Nationale, fonds français 146). Si tratta di un manoscritto compilato attorno al 1316 per iniziativa di Chaillou de Pesstain che ebbe l’idea di commentare con magnifiche miniature e glosse musicali la narrazione delle imprese di Fauvel, attingendo a tutti i generi e alle forme musicali esistenti all’epoca. Delle 167 composizioni spiccano, di straordinario interesse, composizioni polifoniche provenienti dal repertorio dell’ars antiqua, risalenti al XIII secolo, così come mottetti polifonici contemporanei alla stesura del testo (cinque dei quali composti da Philippe de Vitry) che rivelano tutti i segni premonitori dell’ars nova. Il manoscritto parigino di Fauvel rappresenta dunque una sorta di “fotografia” del panorama musicale nei primi decenni del XIV secolo, nel quale convivono generi antichi e tradizionali (inclusi parecchi brani attinti dal repertorio gregoriano) insieme a forme novae, nate di recente (o in ogni caso aggiornate al nuovo gusto musicale), ricche di novità stilistiche, grafiche e testuali. Ma l’inserimento di composizioni tanto ardite e all’avanguardia, in una cultura tendenzialmente conservativa come quella medievale, non è scevro da significati simbolici più sottili: non a caso la nuova arte musicale, tanto criticata e osteggiata da diversi teorici coevi (primo tra tutti Jacobus di Liegi che nello Speculum Musicae – 1330 – si scaglia fortemente contro le nuove tendenze musicali), è la preferita nelle composizioni che vedono come protagonista dall’astuto e nefando Fauvel; al contrario, i brani dedicati a Fortuna o ad altri personaggi ‘positivi’, sono spesso più conservatori, legati cioè alla tradizione musicale più arcaica. Ciò che colpisce è l’eccezionale continuità e coerenza narrativa tra il testo poetico e le composizioni musicali che non hanno solo il compito di commentare ciò che succede nella storia, ma anche quello di rappresentare la storia stessa. A questo proposito si può citare il mottetto J’ai fait nouveletement in cui, approfittando di un genere polifonico che tradizionalmente sovrappone testi diversi nelle sue tre linee melodiche, mette in musica tre personaggi: il narratore, che spiega le intenzioni di Fauvel, Fortuna, che manifestando il proprio sdegno si prepara al contrattacco, Fauvel, che tra sé e sé cova la sua manovra di aggiramento di Fortuna; e ancora, la ballata Douce dame de bonaire in cui Fauvel e Fortuna si fronteggiano in un dialogo serrato tra la dichiarazione d’amore dell’uno e il rifiuto dell’altra, oppure i due Lai Talant que j’ai d’obeïr e Je qui poair seule ai de confort in cui Fauvel prima e Fortuna dopo cantano le loro ragioni.
Chiamata a interpretare la parte musicale di questa straordinaria opera “multimediale ante litteram”, laReverdie ha selezionato una trentina tra le 167 composizioni, nell’intento di dare una rappresentazione quanto più viva della ricchezza di generi e forme musicali che il manoscritto parigino fornisce e al contempo di restituire la musica per la sua funzione narrativa di interscambio con il testo poetico.
Ente Musicale Società Aquilana dei Concerti "BONAVENTURA BARATTELLI"
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