COLLOQUI CON LA CATTIVA DEA
Questa drammaturgia in musica è un viaggio nel tempo, dal 1914 al 1919: mi sono trovata davanti a un fiume di scritture e testimonianze, un gigantesco coro che, attraverso dissonanze e differenze, si accorda in un possente canto contro la guerra. Alle ombre di quel coro, per un tratto breve, tento di dare corpo e voce. Immergo le parole nel suono straordinario della fisarmonica di Simone Zanchini e in quello sapiente di Raffaele Bassetti.
IL VIAGGIO
La mia drammaturgia per parole e musica, pur fondandosi su saggi storici e raccolte di lettere, diari e documenti, non è altro che una cronaca del mio personale viaggio nel tempo alla ricerca di vicende e sguardi di chi, strappato ad un destino apparentemente lineare, ha reagito a cambiamenti inimmaginabili acquisendo una consapevolezza nuova pur rimanendo ai margini della storiografia ufficiale. Mi sono trovata davanti a un fiume di scritture e testimonianze, un gigantesco coro che, attraverso dissonanze e differenze, si accorda in un possente canto contro la guerra che non è ancora stato ascoltato con attenzione. Alle ombre di quel coro, per un tratto breve, tento di dare corpo e voce. Per prime, alle donne, che di fronte alla follia della distruzione, si trovarono a lavorare, creare, curare, consolare, difendere, proteggere.
Immergo le parole nel suono straordinario della fisarmonica di Simone Zanchini – che esplora gamme inusuali e ardite ondeggiando tra cultura popolare e sperimentazione – e a quello della strumentazione elettronica di Raffaele Bassetti che mi accompagna da anni, cercando il ritmo e la musica di vite famose e vite sconosciute ai più, il cui arco mi aiuti a capire la follia di quella parte oscura di noi che io chiamo la Cattiva Dea, ma anche i suoi antidoti.
Ho rimpianto i miei cari e la mia sempre rimandata voglia di interrogarli e registrarli. Ho indagato sulle permanenze di ricordi e documenti nella terra dove vivo per poi allargare l’indagine interrogando persone vicine e lontane che potessero diventare possibili tramiti di racconti originali. Ho tenuto tra le mani per la prima volta le fotografie e le lettere del prozio Berto che da contadino fu tramutato in militare.
Ho visto archivi di reduci custoditi con cura, ho cercato pubblicazioni di diari e lettere, di storie locali e familiari, da quelle scritte nel linguaggio composito e fantasioso che risulta dalla dettatura di analfabeti a scrivani di regioni diverse, a quelle che raccontano di donne che si sono trovate all’improvviso capofamiglia e lavoratrici affrontando responsabilità che ne hanno trasformato azioni e pensieri, generando un originale grido di ribellione contro la guerra.
Ho esaminato raccolte di sentenze che oggi paiono di incomprensibile violenza, ho letto di esilii per qualche parola in più o in meno, ho registrato la crudeltà di un potere militare e politico che considerava bugiardi gli ‘scemi di guerra’ e disertori soldati che non parlavano nemmeno la stessa lingua e non sapevano perché combattevano e contro chi, ho verificato quanto sia stata bugiarda la propaganda che esaltava l’eroismo e negava le immagini di morte e di mutilazione, ho letto di storie di animali coinvolti nel conflitto il cui destino era molto simile a quello degli umani e ho intravisto un’Italia colorata da molte lingue e culture, traboccante di energia, di miseria e di coraggio, di boria e di onestà, di eroismo, di paura, di sentimenti di gioia e ribellione che riuscivano a tramutare la tragedia in forza di reazione.
Ho visitato trincee che, pur nella luce di maggio, tra il verde e i fiori, erano il buio.
Ora noi annusiamo la fine più volte annunciata di una civiltà e forse l’inizio di una nuova. Chi ascolteremo? Chi parla con la voce della Cattiva Dea?
LA CATTIVA DEA
Abbiamo imparato dalla storia quanto sia difficile, in momenti di grandi mutazioni dove si fondono energie confuse, paura, speranza, grande vitalità o grande depressione, dare ascolto alle voci più profonde e generose che fanno appello a quanto di misteriosamente simile e autentico riconosciamo uno nell’altro per dare invece credito alle modulazioni – sussurri e grida! – della cattiva dea che divide, scorda, distrugge.
Cosa sia la cattiva dea non so, ma la vedo, la sento, la percepisco e la incontro ogni volta che metto in scena questo lavoro.
Così accadde nei primi anni del secolo scorso fino ad arrivare alla febbre dell’agosto 1914, del maggio ‘radioso’ del 1915. Si usciva dalla dolcezza tollerante della Belle Epoque, si sognava un mondo rinnovato e pieno di energia, le donne lottavano per avere diritti e voto, per garantire assistenza e salute a tutti, le grandi masse si erano riconosciute ed organizzate per ottenere voce e peso politico, si assaggiava il progresso in forme mai conosciute prima. Eleonora Duse inaugurava la sua libreria per le donne e sembrava a molti, artisti e non, di avere tra le mani gli strumenti per cambiare il mondo.
A dare risposta alle molte domande e inquietudini che accompagnano le grandi trasformazioni, arrivò la guerra.
Le visioni e le speranze cambiano di segno.
Scrive Mario Isnenghi: ‘se è vero che nessuno…voleva veramente la guerra, è altrettanto vero che nessuno era disposto a credere…alla pace nei rapporti internazionali come nei rapporti sociali. Così, alla prima occasione, la guerra finì per scoppiare davvero.’
‘Solo due giorni orsono i parigini stavano conducendo migliaia di esistenze diverse nella più completa indifferenza o in pieno antagonismo gli uni con gli altri, estranei tanto quanto nemici al di là della frontiera…Ora si affollano abbracciandosi in un istintivo anelito di comunità nazionale.’ Ecco E. Wharton da Parigi.
‘Estranei si rivolgevano amichevolmente la parola per strada, gente che si era evitata per anni si porgeva la mano…ciascun individuo assisteva ad un ampliamento del proprio io, non era più una persona isolata, ma si sapeva inserito in una massa, faceva parte del popolo e la sua persona trascurabile aveva acquisito una ragion d’essere…’ Da Berlino, S. Zweig.
Medita Rilke: ‘ il passato rimane indietro, il futuro esita, il presente poggia sul nulla…’.
‘La guerra aveva mostrato gli artigli e gettato via la sua maschera di bonomia…Si pensava appena al nemico, a quell’essere enigmatico e malvagio in agguato da qualche parte…Non si poteva scorgere altro che gli effetti del lavoro macchinico…questi eventi manifestavano i lineamenti di una forza cosmica, senz’anima, di fronte alla quale l’uomo..scompare…’ E. Junger.
Elena Bucci
grazie a chi, anonimo, mi ha indicato le linee bibliografiche che sostengono la drammaturgia
a Mario Isnenghi, Lucio Fabi, Giovanna Procacci, Antonio Gibelli, Bruna Bianchi, Eric Leed, Andrea Cortellessa, Enzo Forcella, Alberto Monticone per i loro studi che mi hanno orientato
Walter Pretolani che mi ha regalato il libro Colloqui con la morte, del ravennate Mario Mariani
Alvaro Petricig delle Valli del Natisone, per avermi concesso di visionare l’archivio di suo padre, Paolo Petricig
Carolina Gamberi che mi ha fornito lettere e fotografie conservate nell’archivio di famiglia
Archivio Storico Comunale di Russi|Fondo archivistico Associazione Nazionale Combattenti e Reduci|Sezione di Russi| Ufficio Cultura Comune di Russi, per la visione di materiali non ancora archiviati ordinati da Giacomo Sangiorgi
Maria Pia Russo per avermi fatto conoscere il libro dedicato alle lettere dal fronte di Matteo Russo, “Lettere dal fronte” (1916-1917), interventi di Sebastiano Maggio, Maria Pia Russo, Salvatore Claudio Sgroi, Salvatore Di Pietro, Cooperativa Universitaria Editrice Catanese di Magistero, Catania, 1993.
DICONO DELLA CATTIVA DEA
“Come fa Elena Bucci, sorta di Duse arrabbiata del nostro teatro che dà voce a chi non ce l’ha, come riesce, un’attrice in controtendenza come lei, a seminare lusinghe, ad apparire armonica, generosa, smaliziata e attraente anche nei panni di vari prototipi di donne esposte al ‘fango’ e al ‘sangue’ del conflitto 14-18? Come, pur nella sua attitudine severa che (almeno secondo noi), nulla concede alla femminilità, giunge a emanare un alone molto sensuale, esprime un occulto fascino pur alle prese con un lavoro di sofferta etica popolare come ‘Colloqui con la Cattiva Dea’ sottotitolo ‘Piccole storie dalla Grande Guerra’? L’abbiamo spiata con infinita attenzione, in questa sua drammaturgia in musica condivisa col fisarmonicista altrettanto magnetico, quasi incantatore, che è, in sintonia, Simone Zanchini. E abbiamo dedotto, sentendola testimoniare documenti, lettere e diari frugali o senza alcun freno di donne coinvolte (sfiorate, offese, alterate) da fatti bellici, che la sua irrinunciabile e prepotente chiave interpretativa di quei materiali l’autorizzava, per passione, a una presa forte, a posture ed eleganze da opera da camera resa con stile. Dunque il rossetto forte, il velo, l’abbigliamento estatico, la chioma lunga e i piedi scalzi rendono ancor più volitiva, e intrigante, la Bucci che scende negli inferi dei volti anneriti dalla trincea, dei petti squassati, dei cervelli esplosi di cui si fa specchio la letteratura muliebre. Con toni più umanamente cronachistici solo per i reduci di guerra, riacquistando un lucido orrore per le fucilazioni dei disertori, adottando tolleranza per i bordelli militari. Sempre, lei, evocando la morte con un’aura pittorica alla Füssli sulla pelle, sui costumi. Sempre, lei, in un qualche dialogo con la più terragna fisarmonica di Simone Zanchini, capace di swing vagamente patriottici o, se no, di partiture da gesta epiche di combattenti qualunque, col contributo di occhiate da uomo randagio, partecipe di scontri opachi, creatore di suoni in forte dissolvenza. Il risultato accattivante e toccante di questo lavoro pronunciato con eleganza dell’anima e suonato con dolore è da sentire, tutto.
La Repubblica, Rodolfo di Giammarco, 9 maggio 2015
“Sono i numeri, con la forza della cruda verità, a chiudere come in un cerchio di infallibile presa il fiume di parole, ricordi, emozioni, di sussurri e grida che scorre inesorabile lungo i ‘Colloqui con la Cattiva Dea’, il monologo (ma forse parlare di vero e proprio ‘melologo’ non sarebbe sbagliato) con cui per Ravenna Festival Elena Bucci insieme a Simone Zanchini ha reso omaggio alle ‘piccole storie della Grande Guerra’. I numeri: quelli dei morti e dei feriti della Prima guerra; eppoi di altri morti e di altri feriti ancora, quelli della Seconda. Un’unica immane follia. I cui confini, temporali ed emotivi, sono tracciati dall’attrice (ed autrice) e dal musicista attraverso le parole dei protagonisti. Come muovendosi lungo le stazioni di un’ideale via crucis – asimmetrici e spogli palchi di legno sotto il mattone rosso, quasi di prigione, dell’Almagià – la voce dà corpo agli isterismi futuristi, a quel residuo di umanità che i sodati affidano alle lettere, alla loro ansia di ‘sentire’ le voci di casa, alla crudeltà di inutili eroismi, alla maschera di ingenuità dietro la quale si ripara la borghese madre di famiglia, ‘signora in Monza’, all’illusione di libertà delle donne in fabbrica, all’inascoltato grido di quelle che unite in un’alleanza internazionale, avevano capito cosa sarebbe accaduto.
Invettiva, paura, spavaldo e borioso coraggio, ragionevoli incertezze: Elena Bucci ‘intona’ il testo scavando nell’emozione, mentre la fisarmonica di Zanchini inanella suoni e ritmi e melodie che sono l’anima stesse delle parole e dei luoghi evocati: l’accordo è perfetto, onomatopeico. E dietro le voci par di scorgere i volti di quelli che c’erano. Voci che sembrano non sentirsi l’un l’altra, ma che restituiscono quel mosaico di umanità che già caduta nell’abisso si stringe alla propria incredulità – che sia questo il vero potere della Cattiva Dea?”
Corriere Romagna, Susanna Venturi, 24 giugno 2014
“Elena Bucci incede nel buio del palco come un’antica dea che non trova requie. Attorno a lei il mondo sembra dissolversi in un cupo elenco di morti e feriti della prima guerra mondiale. ‘Le grandi tragedie nascono da piccole distrazioni? O da grandi mutazioni?’. La terribile verità dei numeri apre e chiude il potentissimo monologo Colloqui con la cattiva dea dell’attrice-autrice e regista, insieme al virtuoso della fisarmonica Simone Zanchini,(…) Elena Bucci ha composto il suo possente canto contro la guerra riportando il tempo, quel 1915-1918, al nostro incerto presente. Unn canto fatto di piccole storie familiari e locali, costruito su un meticoloso lavoro attraverso saggi storici, raccolte di lettere, diari, fotografie e documenti, ma soprattutto voci, sguardi, pensieri ed emozioni di chi è finito ‘al macello’ senza saperne il perché. Parole, emozioni, sussurri e grida e le note ardite di Zanchini costeggiano implacabili un’unica e immane follia, ‘un cataclisma’ che ondeggia dalla propaganda bellica ai deliri dei futuristi (‘la guerra la sola igiene del mondo’, Marinetti) passando per le umanissime lettere che i soldati scrivono a casa cercando di sentirsi ‘ancora umani, ma non sappiamo più chi siamo’. Bucci ascolta le voci delle donne anticipano la catastrofe, osserva le crocerossine costrette sorridere davanti ai moribondi, insegue le contadine che rivendicano la propria terra, rivela la crudeltà del potere militare e politico che considera bugiardi gli ‘scemi di guerra’ e disertori i soldati che non parlano neppure la stessa lingua. E osserva con pietà i reduci costretti a tacere: ‘Accontentati dalle commemorazioni, la ferita della guerra te la lasci bruciare dentro come una vergogna’. Nessuna catarsi per un secolo che si sveglia pieno di energia e imbocca felice la via della distruzione. La ‘cattiva dea’ chiede i suoi tributi, incurante della donna che avanza nel buio, sussurrando decisa ‘mi sento pacifista, mi sento sovversiva’. L’abisso della seconda guerra alle porte”
Il Gazzettino, Chiara Pavan, 30 giugno 2015
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